Recensione di Organi, di Alda Teodorani, a cura di Liliana Talamo


Organi si pone al limite tra i due generi letterari dell’horror e del neo-noir, ma strizza l’occhio anche al genere manualistico, tramite l’inserimento di consigli forniti al lettore che desideri eventualmente diventare a sua volta uno scrittore. Grazie alla rottura degli schemi narrativi tradizionali l’autrice sfrutta il binomio Eros-Thanatos per coinvolgere direttamente il lettore in una sorta di falsa autobiografia, che ha come centro il farsi di una macabra collezione di parti anatomiche forgiata sulla pelle di uomini sedotti, usati ai fini del piacere sessuale, uccisi e sventrati dalla protagonista subito dopo il rapporto. La relazione amorosa è vissuta come un’aggressione violenta, e la Teodorani organizza i termini di sangue, anima, raccapriccio e impegni didascalico-moraleggianti in due coppie di opposti, che la rendono una scrittrice a dir poco coraggiosa. L’orrore è generato dalle lame di un assassino che sceglie di servirsi della sola dimensione terrena per espellere qualsiasi fantasma soprannaturale, e il sangue è la metafora grottesca e struggente di un amore totale nei confronti del maschio. Con il suo approccio “cannibalesco”, ai limiti del raccapriccio, la Teodorani non lascia spazio alla purificazione ma riporta l’attenzione su un’umanità dominata dalle cose e dall’abbandono dell’intimità. Al bando dunque buonismi melensi, scrittori-eroi che rintracciano i colpevoli di delitti sia tra le pagine dei loro libri che nella realtà, dove raffinate indagini psicologiche fanno il verso agli studi freudiani; sulle pagine della Teodorani c’è una scrittrice che si prende poco o niente sul serio e che si fa macellaio dei propri personaggi per se(le)zionare il meglio di ciascuno di essi, a discapito di ogni smorfia di disgusto.

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